Una notte lo portai a vedere le stelle.
Ero talmente innamorata di lui.
Lui, semplicemente, non era innamorato.

Gli dissi: “vedi? quella è Spica, la stella più luminosa della Vergine.”

Lui guardava il cielo con gli occhi di chi vede solo nebbia.

Gli mostrai la Via Lattea, gli feci vedere Giove e Saturno – Venere era già tramontato, le ali del Cigno, le ruote del Grande Carro, tutto il mondo che vedevo ogni notte nelle ciocche dei suoi capelli e sulle sue dita volevo che lo vedesse anche lui… a volte mi sembrava così simile alle stelle.

“E quella che stella è? “

Era piccola, poco sopra Saturno, poco luminosa… in effetti, non brillava.

“Non è una stella… é Plutone, il pianeta più lontano dal Sole, anzi, ormai non è nemmeno più considerato uno dei pianeti maggiori: piccolo, distante, il suo unico satellite è grande quanto la sua metà, il Sole lo illumina appena, è freddo e polveroso…”

Io ero tanto felice in quel momento, con lui.
Lui, semplicemente, non era felice.

Guardandolo ho pensato che fosse come Plutone.

Ho toccato la sua superficie.
Era ruvida,
Perché fredda.
Era buio, talmente tanto che intorno a me c’era la Via Lattea, perfettamente in mostra, non vi era luce sul suo corpo, seppur celeste.

Lo guardai.
Era assente,
Lontano.
Perso nei suoi labirinti e nell’ombra del suo unico, grande, scuro e minaccioso satellite.
Solo, ai confini del sempre meno suo Sistema Solare, dimenticato, abbandonato, nemmeno più chiamato da qualcuno.

Strinsi la sua mano.

Plutone, guardandosi allo specchio, si vede al buio.
Io lo guardo ed è una stella.

“…però, vedi, è luminoso! su di lui si riflette la luce e la bellezza di un intero sistema, come sugli altri… perché anche se non è nei nostri libri, lui è parte di quel sistema, di quella luce.”

Quella notte lo portai a vedere le stelle.
Lo portai a vedersi.

Se volete, una notte buia e senza nuvole, andate a specchiarvi nelle stelle.

Mia Mauro (Meth)

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